Sentieri selvaggi della Val Dragone

Sarà per gli strati di arenarie e argille scagliose in cui scorre, incassato in profonde forre, il Rio Bianco. Sarà forse per le ampie praterie, un tempo pascoli, adagiate ai piedi della vetta dell’Alpesigola o per le estese foreste che riempiono la valle.

O sarà, forse, per gli antichi casolari in pietra che punteggiano il versante, ora aggregati in piccoli borghi, ora solenghi, che si portano dietro l’aria della pionieristica tenacia di generazioni andate.

Sarà, ma a me questo angolo di Appennino selvaggio e poco conosciuto ha sempre riportato alla mente l’immagine del lontano west.

 

Sull’altro versante, d’là du munt, come si sarebbe detto in queste aie fino a pochi decenni fa, corre da quasi tre secoli la via Vandelli, lungo nastro di civiltà che univa le corti ducali di Modena e Massa.

Di fronte, sull’altra sponda del Dragone, (d’là da l’acqua) ancora più antica corre la via Bibulca. In mezzo sta il massiccio dell’Alpesigola.

Qui l’impronta umana è solo quella degli antichi borghi e poderi, ormai abbandonati.

 

 

Oggi nessun escursionista al seguito, usciamo soli io e Briscola, zaino leggero, per un’uscita di ricognizione sull’itinerario “Sentieri selvaggi della val Dragone“.

La professione di Guida Ambientale Escursionistica non è fatta solo di uscite di gruppo, ma anche di tanti giorni di “dietro le quinte”, trascorsi in esplorazione di itinerari nuovi o che non si percorrono da tempo.

 

 

Scendendo verso il piccolo borgo di Cà Piccirello l’ultimo tratto di sentiero attraversa un bel tratto di faggeta in cui si trovano diversi esemplari di tasso (Taxus baccata). Una giovane cerva ci attraversa la strada; Briscola la ignora (sicuramente con lo scopo di farmi contento mostrandomi quanto bene l’ho addestrata) mentre cince, merli e luì si producono in sonori gorgheggi.

 

La vista invece percepisce  l’imminenza della Primavera perché il grigio argento della faggeta invernale viene improvvisamente attraversato da lampi di colore: il giallo delle infiorescenze dei salici, il verde e bianco brillanti e contrastati dei bucaneve, le macchie lillà dei fior di stecco.

 

Da Cà Piccirello scendiamo lungo la strada per le Caldìe fino a intercettare il sentiero CAI 575. Può sembrare strano ma è la prima volta che lo faccio.

Prima di attaccare la lunga salita decido per una piccola deviazione con lo scopo di una breve visita ai poderi dei Tegelli e di Cà Cecconi, in cui non passavo da almeno 11 anni.

Oggi ci sembrano case sperse nel nulla, a volte ci si chiede come potessero persone umane vivere in tali condizioni di solitudine.

La risposta alla domanda viene quando si comincia a salire lungo il CAI 575. Aggirato un primo contrafforte roccioso il sentiero giunge su un vasto pianoro. Da qui si può scorgere nella sua interezza tutta la fitta rete di sentieri, strade bianche, poderi, gruppi di case, fin giù al paese fantasma di Sant’Antonio, e ancora più giù al fiume Dragone con i suoi numerosi mulini.

 

Quello che ora ci si mostra come un territorio abbandonato e selvatico era un tempo attraversato da strade e sentieri che congiungevano le numerose abitazioni della valle.

Il luogo era certo remoto, ma gli abitanti erano molti, c’erano bestie, campi e mulini.

E i tanti sentieri percorsi al tempo del passo d’uomo permettevano, anche in questi luoghi lontani, di intessere relazioni con i vicini. Forse talvolta più forti e vere di tante che intessiamo oggi percorrendo sentieri elettronici alla velocità della luce.

 

Percorso l’ultimo ripido tratto siamo in vetta (mi perdonino gli amici alpinisti se utilizzo il termine “vetta” per un cocuzzolo boscoso a 1640 m di quota).

Il panorama, dai contrafforti del Gomito, Giovo, Rondinaio, ancora carichi di neve, si estende su tutta la valle con una superba veduta aerea, fino al Prado, al Cusna, alla Pietra, che sembrano vicinissmi. Oggi l’aria nebulosa limita il nostro occhio, ma nelle belle giornate di sole e aria limpida da qui alle Alpi è un batter d’occhio.

 

Sosta pranzo e poi si rientra verso l’oratorio di Cà Giovannoni, fra Roccapelago e Santannapelago.

Soddisfatti, già pensando alle mille storie che potremo raccontare ai nostri amici escursionisti lungo questo nuovo itinerario.

 

 

5 commenti su “Sentieri selvaggi della Val Dragone”

  1. Daniela Martino 24 Marzo 2017

    Un bel modo di passare il compleanno – e poi, com’è scritto bene! Mi piace molto

  2. mauro tazzioli 2 Aprile 2017

    Complimenti per la descrizione e il coinvolgimento che trasmette il suo articolo. Sicuramente da provare questa escursione.

    • Davide Pagliai 2 Aprile 2017

      Grazie Mauro, mi fa piacere riuscire con le parole a trasmettere le emozioni che regala la nostra montagna

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