Alla locanda del paese

ALLA  LOCANDA  DEL  PAESE

Ogni paese, grande o piccolo che sia, sul cucuzzolo della montagna o a ridosso degli Appennini ha una locanda.

Gaggio Montano e le sue frazioni non fanno eccezione; e per raccontare la storia delle locande  di paese bisogna partire da molto lontano. Se torniamo indietro nel tempo, Medioevo o giù di li, il nostro Appennino era percorso principalmente da viandanti, persone che si spostavano in cerca di lavoro o pellegrini che percorrevano un cammino di devozione. Antesignani delle locande  erano quindi gli ospitali, utilizzati da tutti i viandanti per sostare; a Bombiana esisteva l’ ospitale di San Michele, posto in un crocevia importante di strade (ma di questo parleremo nell’ escursione del 8 agosto).

Se facciamo un salto avanti nel tempo e arriviamo alla fine dell’ Ottocento, il nostro Appennino non sarà più percorso da viandanti e pellegrini ma verrà scoperto dalle persone in “villeggiatura”: i Bagni della Porretta diventano una meta irrinunciabile per chi vuole rigenerare corpo e mente dalle fatiche quotidiane. Quindi anche le strutture ricettive (locande, pensioni, osterie) si adeguano alle esigenze del viaggiatore moderno e assumono l’aspetto che conosciamo diventando veri e propri luoghi di aggregazione.

A Gaggio Montano, questo luogo di aggregazione fu per molto tempo la trattoria-locanda Margelli, aiutata dal fatto che fino agli anni Sessanta del secolo scorso era accanto agli uffici comunali.

L’azdora si chiamava Amelia: i miei nonni me la descrivevano come una signora piccolina, con occhiali dalle spesse lenti,  che trascorreva l’ intera giornata nella cura dell’ “esercizio”. Davanti ad un largo fornello, l’ azdora alternava tegami e pentole, mescolando, scodellando le saporite ricette.

La cucina divideva lo spazio con la sala da pranzo, uno stanzone unico nel cui centro troneggiava una stufa di terracotta a quattro ripiani, marca “Becchi” che riscaldava l’ambiente. A parte i tavoli, l’altro elemento d’ arredo era un cassettone antico, a sinistra dell’ entrata, contenente tutto il necessario per apparecchiare i tavoli.

La locanda dell’ Amelia lavorava tutto l’ anno: d’ estate con le feste paesane, in autunno e primavera grazie ai capofamiglia che si recavano in Comune per le varie denunce stagionali e in inverno, nei lunghi pomeriggi quando la natura imponeva di fermarsi per le abbondanti nevicate, combriccole di paesani si trovavano alla trattoria per partite a carte, per bere qualche bicchiere e per lunghe chiacchierate. Ad allietare questi pomeriggi, così almeno raccontava nonno Antonio, c’erano Alfonsino , esperto di fisarmonica, e Cirillo, con il violino.

 

Due curiosità per finire: da Amelia non si andava solo per chiacchiere e bevute, ma anche per necessità: era in trattoria, infatti, l’ unico telefono pubblico  del paese e della campagna a cui si ricorreva per comunicare notizie importanti.

E poi, Amelia non permetteva a nessuno di toccare la caffettiera. Il suo caffè, per aroma e sapore, era una vera celebrità tra i gaggesi. Il caffè, parola di Amelia, per essere buono davvero deve formarsi nella sua stessa incrostazione; guai a “sgurare” troppo la napoletana!

 

 

 

 

Fabrizio Borgognoni

Guida Ambientale Escursionistica La via dei monti

 

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