Storia dell’alpinismo modenese #1

Alpinismo e Appennino modenese. A molti potrà sembrare un binomio non proprio inscindibile.
L’uso attuale della parola alpinismo è infatti legato al suo significato moderno: scalare una montagna per un versante roccioso e/o ghiacciato verticale, con progressione in cordata, o comunque con strumenti tecnici che favoriscano la salita, come scarpette da arrampicata su roccia in estate, oppure scarponi tecnici, piccozze e ramponi per la scalata su neve ripida o ghiaccio. In definitiva, una attività sportiva assai poco praticabile sulle montagne modenesi, che solo in limitati siti offrono il terreno adatto per la pratica dell’alpinismo. I Sassi di Varana per l’arrampicata sportiva; le pareti dirupate e -nei mesi freddi- a lungo innevate e ghiacciate dei monti Giovo, Rondinaio e Rondinaio Lombardo per quanto riguarda l’alpinismo invernale; pochissimo altro.

Piuttosto, l’Appennino di Modena è montagna ideale per la pratica dell’escursionismo, parola che, ai giorni nostri, si riferisce alla camminata in montagna, che può essere più o meno impegnativa, banale oppure al limite dell’arrampicata, ma rimane in tutto e per tutto una camminata. La montagna più alta della provincia, il Cimone, tetto altimetrico dell’Appennino Settentrionale con 2165 m, è l’emblema di questo: un monte alto e dai larghi fianchi, falsamente imponente, ma in realtà bonario, privo di versanti particolarmente ripidi e mai verticale, se non in porzioni decisamente limitate.
In passato, secoli fa e sino ai primi decenni del XX secolo, alpinismo ed escursionismo erano parole con una differenza di significato meno netto. Fare un’escursione in montagna poteva voler dire che si intraprendeva una scalata. Alpinismo aveva un significato più ampio, nel senso di “andar per l’alpe”, in cui con la parola alpe si intendeva un alto monte, indipendentemente da Alpi o Appennini, ma piuttosto riferito a un pascolo d’alta quota (non a caso, uno dei nomi antichi con cui veniva identificato il Cimone era proprio Alpone). In pratica, la parola alpinismo nel senso ampio del termine significa “salire una montagna”, come mountaineering (“andare in montagna”) e bergsteigen (“salire il monte”), rispettivamente le parole inglese e tedesca con cui si traduce. Salire in vetta, non necessariamente scalando in verticale, ma anche semplicemente camminando.
Questa lunga introduzione è forse noiosa, ma fondamentale per poter intraprendere un viaggio nella storia dell’alpinismo sull’Appennino modenese. Confrontando i tempi, una salita al Cimone in estate è considerata escursionistica al giorno d’oggi, ma poteva senz’altro considerarsi alpinistica secoli fa. L’invernale del Rondinaio per la via normale è oggi “escursionistica per esperti”, ma nel XIX secolo era una impresa alpinistica non comune.
Premesso tutto questo, è facile capire come la storia dell’alpinismo modenese sia stata fatta da scalatori che non sono mai diventati famosi al di fuori dei confini tosco emiliani. Nessun “grande” internazionalmente noto ha “lasciato il segno” sulle nostre cime. E naturalmente sono pochi anche coloro che hanno scritto in proposito.
Ci sono state le ricerche storiche di Fabio Montorsi, tra l’altro autore -assieme a Gianni Fabbri- di importanti libri guida sull’Appennino Settentrionale in veste invernale; in particolare, il suo breve scritto “Scialpinismo tra passato e futuro” nella parte introduttiva di Scialpinismo in Appennino (L’Escursionista, 2003) è interessante per come compara l’evoluzione storica dello scialpinismo sulle Alpi e sugli Appennini, evoluzione che ha seguito tempistiche differenti.
Quasi contemporaneamente, più di un cenno sulla storia alpinistica delle montagne tosco emiliane è arrivato da Daniele Canossini, autore con Marco Salvo del monumentale volume Appennino Ligure e Tosco-Emiliano, una delle cosiddette “guide grigie” della collana Guida dei Monti d’Italia, edita da CAI e TCI (Milano, 2003).
Ritroviamo Fabio Montorsi a scrivere di storia dell’alpinismo modenese, stavolta con approfondimento sull’arrampicata in roccia, nel 2008, introducendo Falesie ritrovate di Marcello Lugli e Giampaolo Simonini (Eccentrico edizioni).
Sono arrivati poi gli “Alpinisti del Lambrusco” (Marco Barbieri, Nicola Roncaglia, Gian Paolo Santunione), forti scalatori di Formigine e dintorni. Nel loro Appennino di neve e di ghiaccio, volume 2 (Idea Montagna, 2016), hanno dedicato un capitolo ai “Frammenti di storia alpinistica”, cercando di mettere ordine nella nebulosa storia dell’alpinismo delle montagne modenesi e bolognesi.
Infine, eccomi qua. La via dei monti mi chiede di pubblicare un breve manoscritto a puntate per tenere compagnia ai nostri follower costretti a casa per l’epidemia di Coronavirus. Volentieri la accontento…a presto con la prima puntata della nostra storia.

 

Questo articolo fa parte del ciclo di storie “Le escursioni ai tempi del coronavirus”: una raccolta di aneddoti, racconti e nozioni naturalistiche online a cura delle Guide Escursionistiche de La via dei monti, per tenervi compagnia in questo momento di digiuno dalle escursioni. Leggerli sarà come partecipare ad una camminata virtuale con le nostre guide, pur restando a casa, in attesa di ritrovarci presto per sentieri.

 

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