Storia dell’alpinismo modenese #3

Dopo la guerra l’attività alpinistica riprende molto lentamente nell’Appennino modenese. Tra i locali le montagne sono viste come un ostacolo alla ricostruzione post bellica; i cittadini modenesi, molto propensi all’escursionismo prima della guerra, si trovano ora in difficoltà nel raggiungere la montagna a causa del cattivo stato delle vie di comunicazione. Non è un caso che le attività riprendano con entusiasmo e costanza solo con gli Anni Sessanta. Il “boom economico” italiano e il ritrovato benessere si manifestano anche sulle montagne modenesi, con itinerari su roccia a Varana e Roccamalatina, e soprattutto con la scoperta dell’alpinismo invernale, in particolare sulle aspre pareti della Valle delle Tagliole.
I “magnifici Anni Sessanta”: Giovo e Rondinaio diventano protagonisti indiscussi dell’Appennino modenese.
In questo periodo il CAI Modena inizia a organizzare sistematicamente corsi di arrampicata su roccia sulle maggiori falesie modenesi; gli istruttori più preparati e ammirati sono Orazio Coggi ed Enzo Violi, alpinisti di prim’ordine con notevole esperienza di scalate sulle Alpi. La fascia collinare della provincia non presenta una emergenza rocciosa di grande rilevanza come può essere la Pietra di Bismàntova per Reggio Emilia, ma si cercano di valorizzare alpinisticamente le rupi di Varana e Roccamalatina, con la chiodatura di monotiri e brevi vie a più tiri.
I Sassi di Varana sono affioramenti di ofiolite (roccia di origine vulcanica) nel territorio di Serramazzoni; col passare dei decenni sono diventati la palestra di roccia di riferimento per i modenesi, soprattutto negli ultimi anni grazie alla chiodatura ravvicinata a spit; pare che persino Cesare Maestri, fortissimo e famoso alpinista trentino, sia passato da qui, individuando un brevissimo monotiro che non a caso è poi stato chiamato “Fessura Maestri”, tra i settori “neofiti” e “castello” della falesia.
I Sassi di Roccamalatina sono 4 torrioni di calcarenite presso Guiglia, sui quali vennero aperti itinerari verticali arditi, ma su cui da qualche decennio l’arrampicata è stata bandita per preservare la nidificazione del Falco pellegrino.
Il CAI Modena, assieme alle sezioni di Bologna e Pistoia, si fa promotore anche di nuove pubblicazioni, come la Guida dell’Appennino bolognese-modenese-pistoiese, scritta da Giovanni Bortolotti e pubblicata nel 1963.
Sempre nel 1963, nel mese di marzo, ritroviamo il modenese Orazio Coggi. Con altri compagni emiliani, l’istruttore del CAI effettua una notevole cavalcata scialpinistica durata 8 giorni con pernottamenti a volte di fortuna. Percorrono il crinale tosco emiliano dal Passo della Cisa al Corno alle Scale, e ribattezzano l’impresa Traversata sciistica dell’Alto Appennino Etrusco.
Ed è proprio quella invernale la grande stagione dell’alpinismo modenese nel decennio dei ’60. Vengono definitivamente scoperte dagli scalatori quelle che sono le montagne più “complete” della provincia di Modena. Alla testata della Valle delle Tagliole, sovrastanti i famosi laghi Santo e Baccio, il Monte Giovo, il Rondinaio e il Rondinaio Lombardo si elevano con aspetto aspro, roccioso e imponente, con profili alpestri spigolosi, ben diversi dalle forme più morbide del restante Appennino modenese.
Il Giovo è la seconda montagna per altitudine della provincia con 1991 m, ma sicuramente più completa e difficile del Cimone. La sua parete nordest, incombente sul Lago Santo e dal microclima particolarmente freddo, nevoso e severo, è ideale per la pratica dell’alpinismo invernale: creste di ampio respiro, pendii aperti molto ripidi, canaloni verticali.
L’elegante Rondinaio, di poco più basso e anch’esso posto sullo spartiacque tosco emiliano, ha una forma piramidale rara per gli Appennini; il versante nord, digradante ondulato verso il Lago Baccio, è ideale per lo scialpinismo; la parete nordest è breve ma verticale e rocciosa, particolarmente “alpina” quando innevata.
Il Rondinaio Lombardo 1825 m è un avamposto del “fratello maggiore”, che da esso si stacca protendendosi nel versante emiliano (da qui l’aggettivo Lombardo, riferito all’antica terra dei Longobardi), e cadendo a picco sull’alta valle delle Tagliole con dirupi verticali.
Con molta probabilità, è proprio di uno dei primi inverni anni ’60 la salita dell’itinerario alpinistico diventato poi il più classico dell’Appennino modenese, e forse il più ripetuto dell’intero Appennino Settentrionale: il Canale centrale del Giovo, detto anche Canalone del Lago Santo, che taglia verticale la parete nordest del monte quasi al centro del lago, con una linea regolare molto elegante. Alcune fonti indicano come pionieri alpinisti bolognesi, altre fonti alpinisti toscani, altre ancora modenesi. Non si conoscono i nomi, non si conosce la data esatta, fatto sta che, chiunque lo abbia fatto, quasi sicuramente non si stava rendendo conto di aprire un itinerario che sarebbe poi diventato un grande classico. Oggi il Centrale è ultra ripetuto, viene
valutato AD+ con inclinazioni massime di 80°, ed è una “perla” immancabile nel curriculum di ogni alpinista
modenese.
Altra via invernale storica sulla parete nordest del Giovo è la Diretta alla croce, che sale l’aperto pendio di
neve ripida sottostante la croce di vetta, con passaggi di misto sulle fasce rocciose presso la cima (55° su neve
e II grado su roccia, valutazione complessiva AD). In questo caso abbiamo notizie certe sulla prima salita,
avvenuta il 19.3.1962 ad opera di V. Sarperi e G. Severini.
E negli Anni Sessanta sale in cattedra Marcello Pesi, forte alpinista toscano che guida cordate di lucchesi
spesso in esplorazione nel versante modenese. Pesi e compagni firmano soprattutto due importanti e difficili
vie sui Rondinai. Il 3.3.1968 sono i primi di sempre a salire la parete nordest del Rondinaio, rocciosa, ghiacciata
e spettacolare; la più “alpina” e fotogenica dell’Appennino modenese. Sempre in quegli anni e in inverno, ma
in data imprecisata, Pesi & c violano la repulsiva parete est del Rondinaio Lombardo. Si tratta di due vie
impegnative, valutate oggi D, difficili, in ambiente severo su canalini e diedri verticali, cenge esposte, rocce
ghiacciate, aperte con una certa audacia dagli alpinisti di Lucca, tenendo anche conto dell’attrezzatura di
mezzo secolo fa. Abbigliamento poco confortevole, piccozze e ramponi poco tecnici, scarponi di cuoio molto
pesanti. Chapeau.
Continua…

 

Questo articolo fa parte del ciclo di storie “Le escursioni ai tempi del coronavirus”: una raccolta di aneddoti, racconti e nozioni naturalistiche online a cura delle Guide Escursionistiche de La via dei monti, per tenervi compagnia in questo momento di digiuno dalle escursioni. Leggerli sarà come partecipare ad una camminata virtuale con le nostre guide, pur restando a casa, in attesa di ritrovarci presto per sentieri.

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